Una vocazione nella vocazione

A PALOMARES DEL RIO

(il Beato racconta di suo pugno l’episodio della sua vocazione a riparare l’abbandono dei tabernacoli)

Appena ordinato Sacerdote (…) i miei superiori mi mandarono a predicare una missione in un paesino. Feci provvista di scapolari, medaglie, stampe ed altri generi di propaganda usati dai missionari. E con che gioia presi posto nel vaporetto che doveva portarmi alla riva più vicina al paese del mio apostolato. E con che prestanza son salito dopo sull’asino che mi aveva preparato il sacrista per percorrere l’ora di cammino che separava il paesino dal fiume. Che progetti felici facevo durante il cammino! Come mi dilettavo di vedere nella mia affrettata immaginazione il tempio traboccante di fedeli che ascoltavano le mie prediche, il Rosario della Aurora, che si canta per le strade, la Comunione Generale, molto Generale di tutto il popolo e la gioia del mio Vescovo quando, finita la missione, sarebbe venuto veloce a amministrare la S. Cresima e avrebbe visto una tanto abbondante raccolta….

“Vediamo, amico sacrestano, è molto entusiasta la gente per la missione? E’ molto grande la Chiesa, ci sarà molta gente?…” e dopo queste, una quantità di domande che miravano a comprendere bene le condizioni ed i punti deboli del paese dei miei presunti trionfi apostolici. “La Chiesa – cominciò a rispondere con freddezza e lentezza il mio accompagnatore – la chiesa, se devo dire la verità non è una chiesa, o per meglio dire, sì, ormai è una chiesa (…..) “Ma, per piacere, la chiesa antica che aveva?” lo interruppi io incuriosito.

“Ma, niente, come dicevo, quella era una tana, da tutte le parti entravano vento ed acqua e io ormai non chiudevo la porta né di giorno né di notte, perche (chiudere)? se tutto era porte e buchi? però, in fin dei conti, ora c’è una chiesa, quello che succede è che la gente ha preso l’abitudine di non andarci e mi sembra che ne andrà poca anche alla missione, poiché la missione non si tiene né al casinò nè alla bettola!”

E di questo tenore continuò quell’uomo gettando sul fuoco dei miei entusiasmi molta di quella acqua fredda come che avevo appena traversato con il vaporetto

Chiesi poi all’uomo, una volta sceso dall’asino,: “Ma non ci sono bambini in questo paese?” “Si, però ora sono in campagna…e siccome vengono poco i genitori…”.

“Ma allora, chi viene a Messa in questo paese?”

“Veda, come venire non vengono, viene chi deve sposarsi o che ha da battezzare un bambino, il Signor Antonio, ed io, se non devo andare in campagna…”

“E la Comunione?”. “Comunione? soltanto talvolta fanno la Comunione quelli che vengono a sposarsi…”

“Nessun altro?” “Che io ricordi, nessuno.”. Va bene, ma almeno coloro che son malati, riceveranno i santi sacramenti, non è così?” “ No¸ no! Dicono che queste cose siano di malaugurio e spaventano; al massimo ricevono l’Olio Santo quando hanno già perso conoscenza!”.

“Lei non sa in che condizioni vive la gente!” terminò enfaticamente il sacrestano, mentre giungevamo alle porte della chiesa parrocchiale, senza essere riusciti ad attirare un solo parrocchiano né piccolo né grande.

E’ vero, io non sapevo in che condizioni viva la gente!

Fuggii, quindi direttamente al Tabernacolo della chiesa restaurata in cerca di ali per i miei quasi caduti entusiasmi…e che Tabernacolo!

Che sforzi dovettero fare li la mia fede e la mia forza per non ritornare a prendere l’asino, che stava legato ai battenti della porta di chiesa, e tornarmene correndo a casa mia!

Però non scappai. Li mi fermai a lungo e li trovai i progetti della mia missione e le forze per cominciarla: però soprattutto trovai…

Li, in ginocchio davanti a quel mucchio di ragnatele e sudiciume, la mia fede vedeva attraverso quella porticina semichiusa, un Gesù così silenzioso, così paziente, così triste, così buono, che mi guardava…

Mi sembrava che dopo aver guardato quel deserto di anime, posasse il suo sguardo su di me, tra il triste e il supplicante, dicendomi molte cose e chiedendomene altre ancora…, il suo sguardo, nel quale era riflessa tutta la tristezza presente nel Vangelo: quella del “non c’era posto per loro in Betlemme”, quella delle parole del Maestro agli apostoli: “Volete abbandonarmi anche voi?”, quella del mendicante Lazzaro che chiedeva le briciole che cadevano dal tavolo di Epulone, quella del tradimento di Giuda, del rinnegamento di Pietro, dello schiaffo del soldato romano, degli sputi ricevuti nel pretorio, dell’abbandono da parte di tutti…

Ma non è forse vero che lo sguardo di Gesù in questi Tabernacoli, è uno sguardo che si conficca nell’anima e che non si può dimenticare mai?

Così potrei dire che da quel pomeriggio, da quell’incontro con quel Tabernacolo, io intravidi per il mio sacerdozio un compito che prima non avevo neanche sognato.

Essere il parroco di gente che non amava Gesù, per amarlo io al posto di quella gente, spendere il mio sacerdozio per provvedere a Gesù nelle necessità che sperimenta nella sua vita di tabernacolo, nutrirlo col mio amore, riscaldarlo con la mia presenza, fargli compagnia con la mia conversazione, difenderlo dalla ingratitudine e dall’abbandono, procurare sfoghi al suo Cuore con le mie Sante Messe.

Servirgli da piedi per portarlo dove lo desiderano, da mani per dare l’elemosina in suo nome anche a quelli che non l’amano, da bocca per parlare di Lui e consolare attraverso di Lui e gridare a suo favore quando fanno di tutto per non sentirlo affinchè lo ascoltino e lo seguano…..che bel sacerdozio!

L’ impressione di quel tristissimo Tabernacolo si incise in tal modo nel mio animo, che non solo non si cancellerà in tutta la vita, ma addirittura divenne per me come punto di partenza per vedere, capire e sentire tutto il mio ministero sacerdotale in un’altra maniera.

Oh! Abbandono del Tabernacolo come sei rimasto inciso nel mio cuore! Come mi hai fatto vedere in modo chiaro tutto il male che da li discende e tutto il bene che deriva e si riceve da li!

Oh! Come mi facesti ben comprendere la definizione del mio sacerdozio, facendomi vedere come il sacerdote non è ne più ne meno che un uomo scelto e consacrato da Dio per combattere contro l’abbandono del Tabernacolo!

GONZALES GARCIA MANUEL, Aunque todos…yo no, 11 ed, pp17-23

Chiedo d’essere sepolto vicino a un Tabernacolo, perché le mie ossa dopo la mia morte, come la mia lingua e la mia penna durante la mia  vita, ripetano sempre a quanti vi passeranno: “Lì sta Gesù! Gesù è lì! Non lasciatelo abbandonato!”

(Dal Testamento di Mons. Manuel Gonzales)